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A national evaluation of the Irish public health counselling in primary care service– examination of initial effectiveness data

Governo irlandese ed applicazione di un sistema integrato di cure primarie: studi inerenti la psicologia di cure primarie.

Dal 2001, in linea con altri enti internazionali per la salute, il Governo irlandese ha compreso i
benefici del lavoro integrato nei contesti dell’assistenza primaria. Tuttavia, benché la popolazione
generale fosse ben disposta verso le terapie psicologiche, erano emersi alti livelli d’insoddisfazione per le
difficoltà rispetto alla disponibilità, all’accesso e alla scelta dei servizi psicologici, in cui vi era una
predominanza di approcci prettamente medicalizzanti ai disturbi mentali.

I risultati provenienti da piccoli studi condotti in varie parti dell’Irlanda (Bourke et al. 2012;
Martin et al., 2008; Ward et al., 2010) hanno dimostrato che il counselling era molto impiegato dai medici
di famiglia e che era efficace nelle aree dove era stato attivato
. Questo, oltre alle linee guida del Governo,
ha portato all’istituzione del Counselling per le cure primarie (CIPC) nel 2013, da parte dell’Health
Service Executive
(HSE) Irlandese. Il CIPC comprende sia l’attività di counselling che di
psicologia/psicoterapia, in un tempo limitato di 8 incontri
. Le persone possono accedere a questo servizio
mediante una carta sanitaria e, le persone con un reddito sotto una certa soglia, possono fruirne
gratuitamente. Tale servizio, inoltre, si occupa di problematiche psicologiche di gravità lieve o moderata.
Alcuni studi hanno mostrato prove di efficacia del counselling e della psicoterapia nelle cure primarie per
il trattamento di depressione e ansia (Ammerman et al., 2014; Barkham et al., 2010). Ci sono state anche
altre ricerche, condotte nel Regno Unito (Barkham et al., 2012), Svezia (Werbart et al., 2013), Norvegia
(Knapstad et al., 2018) e Stati Uniti (Sawchuck et al., 2018). Questi studi aggiungono evidenze circa
l’efficacia degli interventi psicologici in ambito delle cure primarie nella riduzione del disagio
psicologico
.
Non essendovi dati nazionali circa l’efficacia del counselling nell’ambito dell’assistenza primaria
in Irlanda, questo studio ha avuto l’obiettivo di rispondere ad alcuni quesiti:

  • Se gli interventi forniti dal CIPC siano efficaci nel ridurre il disagio psicologico nel breve termine;
  • Se la gravità dei sintomi sia un ostacolo nel raggiungimento della guarigione;
  • Se i benefici ottenuti dagli interventi vengono mantenuti anche a follow-up a 6 e 12 mesi dopo gli interventi.

Lo studio è stato di tipo osservazionale, ha coinvolto nove servizi sparsi per il territorio Irlandese e ha raccolto dati da Giugno 2016 ad Agosto 2019, su un campione di più di 2000 partecipanti con un’età media di 42.6 anni. Lo strumento impiegato per la valutazione degli interventi è stato il Clinical Outcome in Routine Evaluation Outcome Measuremente Form (CORE-OM).

Lo studio ha riscontrato un effetto positivo significativo del conuselling sulla riduzione del disagio generale nei partecipanti coinvolti nel CIPC. È stato osservato un tasso di recupero del 46.9%,
dato simile ad altri Paesi
: 50.8% nell’assistenza primaria UK con il programma Increasing Access to
Psychological Therapy Service
(IAPT) (NHS Digital, 2019; Barkham et al., 2012; Stiles et al., 2008);
40.3% in Svezia (Werbart et al., 2013); e 65% in Norvegia (Knapstad et al., 2018). Inoltre, nello studio è
emerso che il 2.7% del campione fosse peggiorato dall’inizio del trattamento. Dalle analisi, inoltre, è emerso che coloro che partivano con un’alta gravità nella sintomatologia avevano una minor probabilità di guarigione a seguito dell’intervento, dato simile a quelli di altri studi (Saxon et al. 2008; Mullin et al. 2006; Stiles et al., 2015). Infine, dallo studio è emerso che nel corso dei 12 mesi dopo la consulenza l’effetto positivo della terapia sia diminuito, ma non in modo statisticamente significativo. Anche questo dato ha trovato riscontro in uno studio Statunitense (Ray-Sannerud et al., 2012).

Gli autori dello studio concludono dunque che questi risultati, in linea con quelli di altri Paesi europei e degli USA, siano estendibili a tutto il territorio Irlandese e che incoraggino rispetto all’implementazione e all’integrazione della psicologia all’interno dell’assistenza primaria anche in altri paesi. Inoltre, aprono alla possibilità di effettuare ulteriori ricerche sulla possibilità di aumentare il numero di sedute per i pazienti e valutare il loro effetto nel lungo periodo.
Nonostante questo, lo studio non è esente da limiti, come ad esempio la mancanza di un gruppo di controllo e la gestione dei dati dei follow-up.

Bibliografia di psicologia di cure primarie

  • Brand, C.; Ward, F.; MacDonagh, N.; Cunningham, S.; Timulak, L. (2021) A national evaluation of the
  • Irish public health counselling in primary care service– examination of initial effectiveness data, BMC
  • Psychiatry, 21-227.

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Il disturbo post-traumatico da stress nelle cure primarie. Pratiche inglesi.

Il disturbo post-traumatico da stress nelle cure primarie. Pratiche inglesi.

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) è una condizione psichiatrica che incide pesantemente sia sul funzionamento quotidiano che sulla qualità di vita, così come sulla salute fisica. In accordo con le
classificazioni attuali, esso può manifestarsi a seguito dell’esposizione a eventi potenzialmente traumatici, come gravi incidenti, disastri naturali, malattie, guerre e conflitti o violenze, siano esse fisiche o sessuali.

Alcune persone, a seguito di tali eventi, sviluppano una serie di sintomi caratterizzati da intrusive ri-sperimentazioni delle sensazioni connesse all’evento traumatico (pensieri, immagini, ricordi, flashback), o alterazioni delle capacità cognitive e dell’umore (come vergogna e colpa), iper-arousal (es. iper-vigilanza e reattività agli stimoli, American Psychiatric Association, 2013).

Studi condotti sulla popolazione generale hanno osservato come circa un terzo degli adulti inglesi abbia sperimentato almeno un grosso evento traumatico nella loro vita, e che il 4.4% di essi abbia sperimentato i sintomi di un possibile PTSD (McManus, Bebbington, Jenkins, Brugha, & NHS Digital, & UK Statistic Authority, 2016).
A tal proposito, il National Institute for Health and Care Excellence UK (NICE, 2018) suggerisce come linee guida di trattamento gli interventi focalizzati sul trauma, come prima scelta, mentre le terapie farmacologiche come seconde. Tuttavia, alcuni studi suggeriscono che circa metà dei pazienti con PTSD non riescono a ricevere un trattamento psicologico (McManus et al., 2016), o che può essere ritardato di anni a causa dello stigma e dalla bassa capacità di riconoscere il disturbo (Iversen et al., 2011; Kantor,
Knefel, & Lueger-Schuster, 2017). Per inverso il PTSD è associato a un alto uso dei servizi sanitari (Kartha et a., 2008), incluse le cure primarie, dove può essere incontrato frequentemente. Gli autori
dell’articolo riportano un solo studio rilevante nelle cure primarie svolto negli UK che ha indagato i tassi di PTSD, e questo ha osservato che il 32% dei pazienti di medicina generale con una storia di infarto del miocardio (n=111) manifestavano anche un possibile PTSD (Jones, Chung, Berger, & Campbell, 2007).
Pertanto, a fronte delle poche ricerche sul tema negli UK, unitamente agli eventi legati al COVID-19 (considerabile un evento traumatico di massa), i ricercatori hanno condotto questo studio con lo scopo di:
1-Fornire nuovi dati sull’estensione di un possibile PTSD tra i pazienti dei medici di base di una regione dell’Inghilterra. 2-Esplorare la distribuzione di un possibile PTSD e la variabilità secondo caratteristiche socio-demografiche e di salute mentale che possano identificare gruppi vulnerabili.

Sono state condotte così delle analisi su un campione di 1058 pazienti nel contesto delle cure primarie dell’area di Bristol, in Inghilterra. Le valutazioni, inoltre, hanno tenuto conto della suddivisione delle varie zone ed aree, sulla base del loro livello di deprivazione (alto, medio e basso). I risultati dello studio hanno mostrato come il 15% del campione soddisfacesse i criteri per un possibile PTSD e che il 54% di questi desiderasse ricevere un sostegno per tale condizione. Questo dato si allinea con un’altra ricerca, condotta negli U.S da Spoon et al. (2015), in cui si rilevò come il 13% dei pazienti delle cure primarie manifestasse sintomi legati al PTSD. Inoltre, dalle analisi è emerso che i tassi di PTSD erano significativamente più concentrati nelle aree socio-demografiche ed economiche maggiormente deprivate.
Ciò si allinea con gli studi U.S. che hanno identificato tassi particolarmente elevati di PTSD nelle popolazioni d’assistenza primaria caratterizzate da stati socio-economici bassi e alti livelli di esposizione a traumi (Liebschutz et al., 2007). Ancora, le analisi hanno evidenziato come più alti livelli di un possibile PTSD fossero associati alla più giovane età, all’essere disoccupati e single, divorziati, separati o vedovi.
Tali dati si accostano a quelli di ricerche precedenti (McManus et al., 2016; Benjet et al., 2016; Wald & Taylor, 2009). Infine, dalle valutazioni delle caratteristiche cliniche sono state trovate associazioni tra un possibile PTSD e la depressione e l’ansia, ma non con il rischio di uso di alcol. Le associazioni con la depressione e l’ansia del PTSD sono anche in linea con altre ricerche (Pietrzak, Goldstein, Southwick, & Grant, 2011). Quelle sulla depressione maggiore, in particolare, indicano che queste condizioni si presentano spesso insieme (Rytwinski, Scur, Feeny & Youngstrom, 2013), e che la comorbilità con il PTSD predice una scarsa risposta, nel tempo, ai trattamenti per la depressione (Green et al., 2006).
Nonostante i risultati interessanti, lo studio non è esente da limiti. Alcuni di questi, ad esempio, riguardano il fatto che lo studio si è concentrato su un’area ristretta del territorio inglese, impedendo di fatto la generalizzazione dei dati. Inoltre, non sono state usate strategie sistematiche di campionamento per il reclutamento; così come l’impiego di alcuni strumenti può aver sovrastimato la presenza dei costrutti misurati. Ancora, i dati sono stati ottenuti prima della pandemia COVID-19, impedendo quindi di valutarne l’impatto sui sintomi del PTSD.
Lo studio, in ogni caso, mette in evidenza come i casi di possibile PTSD siano abbastanza diffusi all’interno delle cure primarie e i ricercatori, pertanto, sottolineano l’importanza di dotarsi di strumenti e conoscenze adeguate sia per riconoscerne i segnali, sia per intervenire adeguatamente. Negli UK, in accordo con le linee guida del NICE, le terapie focalizzate sul trauma possono essere fornite da organizzazioni private o dal settore terziario, mentre il trattamento dell’NHS può essere ottenuto attraverso i servizi dell’Improving Access to Psychological Therapies (IAPT) (Clark, 2018). Nonostante ciò, gli invii ai servizi dello IAPT per il PTSD non sono comuni (comprendono solo il 3.9% degli invii del 2016/2017; Community Mental Health Team, 2018), e questo sottolinea l’importanza con cui le cure primarie dovrebbero essere coinvolte in questi interventi.
In conclusione, si può ancora aggiungere che in futuro sarebbe utile sviluppare ricerche nazionali e/o internazionali, con campionamenti sistematici e randomizzati, che si occupino della frequenza, dell’estensione e della distribuzione del PTSD nelle cure primarie. Inoltre, sarebbe utile che tali ricerche riportino anche valutazioni circa la fattibilità e l’efficacia degli interventi e dei modelli proposti nelle cure primarie. Modelli alternativi che possono essere considerati includono quelli d’assistenza collaborativa (Schnurr et al., 2013), così come interventi brevi forniti elettronicamente (Possemato et al., 2016) o attraverso i professionisti della salute comportamentale incorporati nelle cure primarie (Cigrang et al.,2017). Quest’ultimo in particolare ha ricevuto supporto in studi randomizzati (Cigrang et al., 2017) e anche il potenziale per lo sviluppo di forme di terapie brevi focalizzate sul trauma, che possono essere ottimali per la medicina di base. A fronte dei problemi legati alla pandemia COVID-19, infatti, questi interventi nei contesti di cure primarie potrebbero assumere un’importanza ancora maggiore.

Bibliografia di psicologia di cure primarie

  • Cowlishaw, S., Metcalf, O., Stone, C., O’Donnell, M., Lotzin, A., Forbes, D., Hegarty, K., Kessler, D. (2020) Posttraumatic Stress Disorder in Primary Care: A study of general practices in England, Journal of Clinical Psychology in Medical Settings.

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Conseguenze psicologiche della pandemia Covid19

Conseguenze psicologiche della pandemia Covid19

La pandemia del Coronavirus 2019 (COVID-19), sviluppatasi in Cina e poi estesasi nel resto del mondo da Dicembre 2019, ha raggiunto picchi elevati in Italia nel Marzo del 2020. Da quel momento fino ad oggi, il governo ha indetto vari periodi di lockdown precauzionale, con restrizioni sugli spostamenti e sull’esercizio di attività non essenziali. Il primo, quello di Marzo 2020, si è suddiviso in due momenti: fase 1 e fase 2.
Durante la fase 1 era proibito uscire di casa, se non per motivi di necessità (sanitari, andare al supermercato, ecc.) e di lavoro, così come era proibito incontrare persone che non fossero i conviventi del proprio nucleo familiare. Inoltre, per uscire era necessario compilare un’autocertificazione indicante i motivi dell’uscita, da esibire in caso di controllo da parte delle forze di polizia, al fine di verificare la veridicità delle dichiarazioni.
Durante la fase 2, invece, sono riprese progressivamente le attività prima proibite, seppur sempre regolamentate, così come la possibilità di incontrarsi con altre persone, pur mantenendo i dispositivi di sicurezza (come mascherina, guanti e gel per le mani) e la distanza sociale.
In questo studio, perciò, Gullo et al. hanno voluto studiare gli effetti, l’impatto e le conseguenze psicologiche della prima ondata della pandemia COVID-19 sulla popolazione generale, così come l’andamento nel tempo di alcuni sintomi psicologici. Inoltre, si sono occupati della valutazione dell’effetto di fattori protettivi, come il possedere buone strategie di coping e il poter contare su un supporto sociale familiare e/o amicale, sui sintomi psicologici connessi alla pandemia. Infine, hanno osservato le conseguenze psicologiche generatesi nel momento della transizione tra il primo lockdown e il post-lockdown, cioè nel momento in cui era di nuovo permesso tornare alle normali attività quotidiane.
Lo studio è stato condotto su un campione reclutato con il metodo a valanga, stabilendo quattro punti temporali di valutazione differenti, comprendenti un arco temporale che andava da Aprile 2020 a Giugno 2020. Ai soggetti sono stati inviati strumenti e questionari self-report per misurare alcuni costrutti e sintomi psicologici come la preoccupazione, l’ansia e la depressione; così come le strategie di coping utilizzate e il supporto sociale percepito. Infine, è stato somministrato un questionario costruito ad hoc per valutare le conseguenze della transizione tra lockdown e post-lockdown.
Dai risultati dello studio è emerso che il 17% dei partecipanti ha ottenuto punteggi superiori al cut-off per i sintomi ansiosi, durante la prima valutazione, con un picco massimo fino al 23% alla seconda e un decremento, non significativo, al 14% all’ultima valutazione. Rispetto ai sintomi depressivi, invece, alla prima valutazione il 23% dei soggetti ha ottenuti punteggi superiori al cut-off, con un decremento di tale percentuale fino al 14% all’ultima valutazione. Tali dati sono simili con le ricerche di Wang et al. (2020b), che ha riscontrato un cambiamento non significativo nel tempo nei livelli di depressione e ansia, quando le osservazioni avvenivano in un tempo ristretto tra l’una e l’altra e durante il periodo di lockdown. I sintomi ansiosi e depressivi, inoltre, erano maggiormente presenti tra le donne, gli studenti e le persone disoccupate. L’associazione tra età, la condizione di studente e l’ansia o la depressione legate alla pandemia, è già stata osservata e si pensa potrebbe essere causata da stress aggiuntivi generati dal bisogno di doversi adattare al nuovo ambiente educativo online. È più controversa invece la letteratura rispetto alle differenze di genere legata al COVID-19; infatti, nonostante alcuni studi abbiano riportato livelli di ansia e depressione più alti nelle donne (Smith et al., 2020), altri autori hanno trovato questa associazione solo rispetto ai livelli di ansia; altri non hanno trovato alcuna associazione, o quella opposta, con livelli di ansia e depressione più alta nei maschi.
Più alti livelli di supporto sociale percepito, invece, hanno un effetto mitigante sui sintomi legati a emozioni negative. Invece, l’utilizzo di strategie di coping, pur aumentando nel tempo, sembrano avere un effetto significativo solo per i sintomi depressivi. Altri studi che hanno avuto a che fare con gli aspetti psicologici legati al Coronavirus hanno ottenuto evidenze simili; Cao et al. (2020) hanno riscontrato un effetto positivo del supporto sociale sull’ansia e ciò sembra essere confermato dalle ricerche di Palgi et al. (2020), che ha identificato la solitudine come uno dei rischi maggiori per lo sviluppo di sintomi di ansia e depressione. Similmente, è stata trovata un’associazione tra coping ed emozioni negative rispetto al Coronavirus; per esempio, Ran et al. (2020) hanno trovato un’associazione inversa tra la resilienza e i sintomi d’ansia o depressione durante il picco della pandemia COVID-19 in Cina.
Dall’analisi del periodo di transizione tra lockdown e post-lockdown, inoltre, sono emerse quattro categorie di “preoccupazioni”: “ritiro sociale”, “paura di confrontarsi con l’esterno”; “paura del contagio” e “timore di sprecare tempo libero”. Inoltre, è stata riscontrata un’associazione tra i sintomi ansiosi e la “paura di confrontarsi con l’esterno” alla terza valutazione; mentre alla quarta anche con la “paura del contagio” e con il “ritiro sociale”. Rispetto ai sintomi depressivi, invece, è stata riscontrata alla terza valutazione una correlazione con la “paura di confrontarsi col mondo esterno”, il “timore di star sprecando tempo libero” e il “ritiro sociale”; mentre all’ultima valutazione erano correlati, oltre a queste tre dimensioni, anche alla “paura del contagio”. Un dato interessante è che, dopo tre settimane dalla prima valutazione, il “ritiro sociale” e “la paura del contagio” si erano ridotti significativamente, mentre “la paura del confronto con l’esterno” e “il timore di sprecare tempo libero” no. La ricerca che si avvicina maggiormente a queste evidenze è quella di Cava et al. (2005) dopo l’epidemia della SARS, dove le persone, per paura di essere infettate, hanno riportato il bisogno di rimanere in quarantena anche quando i regolamenti del governo permettevano di uscire, o il bisogno di mantenere la distanza tra loro e dalle persone, di lavarsi spesso, e di indossare indumenti protettivi anche quando il pericolo era finito.
In generale, i risultati di questo studio suggeriscono che l’esperienza dovuta all’ondata di COVID-19 ha incrementato il disagio psicologico di molte persone, rimanendo relativamente stabile anche dopo che era finito il periodo del lockdown. L‘ansia può rappresentare la risposta normale e iniziale a un evento stressante significativo, ma quando la normale vita inizia ad essere percepita come sempre più remota e difficile, allora i sentimenti di depressione, di solitudine e disperazione possono pronunciarsi, specialmente tra le persone più vulnerabili della società. Inoltre, i risultati dello studio confermano quelli di ricerche precedenti (Ozamiz-Etxebarria, Dosil-Santamaria, Picaza-Gorrochategui, & Idoiaga-Mondragon, 2020; Wang et al., 2020a; Wang et al., 2020b; Qiu et al., 2020; Serafini et al., 2020; Liu, Zhang, Wong, Hyun & Hahm, 2020).
A tal proposito, dunque, potrebbe essere utile pensare di incentivare ricerche che siano in grado di informare rispetto ai servizi di salute mentale, specialmente in ambito pubblico. Gli interventi psicologici impiegati per far fronte alle conseguenze del COVID-19 possono essere considerati interventi sulla crisi, in cui gli obiettivi principali sono quelli di ridurre i sentimenti ansiosi, di impotenza, di disperazione e depressivi. In questo senso, la possibilità di avere una tempestiva presa in carico dei pazienti potrebbe permettere di lavorare preventivamente sullo sviluppo di disordini psicologici più gravi, diminuendo i costi sia temporali che economici degli interventi sanitari. In ogni caso, sarebbe utile produrre studi longitudinali su questo tema, al fine di avere maggiori evidenze empiriche. Sarebbe interessante, inoltre, esplorare gli aspetti psicologici connessi allo stigma di essere stati infettati o di aver avuto una persona vicina infettata, che si crede possa avere effetti importanti sulla salute mentale delle persone.
Nonostante la rilevanza di questi dati sulla salute pubblica, questo studio ha alcune limitazioni. In primo luogo, lo studio è stato condotto con un campione relativamente piccolo e con un livello di mortalità elevato tra i quattro punti temporali. Inoltre, è trascorso un periodo di tempo relativamente breve tra le quattro valutazioni. I risultati inoltre possono aver risentito del questionario online auto-somministrato e del campionamento non rigorosamente randomizzato, incidendo quindi sulla rappresentatività e sull’attendibilità. Ancora, il terzo obiettivo dello studio era basato su un set di domande ad-hoc, che, pertanto, non erano standardizzate e per le quali non vi erano punteggi normativi, rendendo il confronto impossibile.
Per concludere, la pandemia del Coronavirus e le sue conseguenze socio-economiche stanno avendo un grande impatto sul benessere psicologico degli Italiani. E’ ragionevole immaginare che ciò potrebbe incrementare il numero di richieste d’aiuto ai servizi di salute mentale nel futuro prossimo. I risultati degli studi come questo evidenziano l’importanza di investire in ulteriori ricerche per favorire supporto psicologico di prevenzione per la popolazione generale. Questo può evitare o ridurre l’aggravamento delle difficoltà, che potrebbero condurre successivamente al bisogno di interventi più lunghi e costosi.

Bibliografia di psicologia di cure primarie

  • Gullo, S., Misici, I., Teti, A., Liuzzi, M., Chiara, E. (2020). Going through the lockdown: a longitudinal study on the psychological consequences of the coronavirus pandemic. Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome, vol. 23, pag. 211-221.

Se sei un professionista sanitario interessato allo sviluppo di un sistema di cure primarie in Italia, o più semplicemente desideri ricevere informazioni ed aggiornamenti chiari e precisi sulla questione, allora iscriviti alla Sipcp: l’iscrizione ti garantirà di ricevere un aggiornamento sistematico su temi ed argomenti relativi alle cure primarie, di costruire relazioni professionali che condividono il medesimo interesse e di partecipare alla vita associativa attraverso eventi, convegni e congressi. Se inoltre senti il desiderio di partecipare attivamente alla crescita dell’associazione, troverai disponibilità nei gruppi di lavoro operativi.