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Conseguenze psicologiche della pandemia Covid19

Conseguenze psicologiche della pandemia Covid19

La pandemia del Coronavirus 2019 (COVID-19), sviluppatasi in Cina e poi estesasi nel resto del mondo da Dicembre 2019, ha raggiunto picchi elevati in Italia nel Marzo del 2020. Da quel momento fino ad oggi, il governo ha indetto vari periodi di lockdown precauzionale, con restrizioni sugli spostamenti e sull’esercizio di attività non essenziali. Il primo, quello di Marzo 2020, si è suddiviso in due momenti: fase 1 e fase 2.
Durante la fase 1 era proibito uscire di casa, se non per motivi di necessità (sanitari, andare al supermercato, ecc.) e di lavoro, così come era proibito incontrare persone che non fossero i conviventi del proprio nucleo familiare. Inoltre, per uscire era necessario compilare un’autocertificazione indicante i motivi dell’uscita, da esibire in caso di controllo da parte delle forze di polizia, al fine di verificare la veridicità delle dichiarazioni.
Durante la fase 2, invece, sono riprese progressivamente le attività prima proibite, seppur sempre regolamentate, così come la possibilità di incontrarsi con altre persone, pur mantenendo i dispositivi di sicurezza (come mascherina, guanti e gel per le mani) e la distanza sociale.
In questo studio, perciò, Gullo et al. hanno voluto studiare gli effetti, l’impatto e le conseguenze psicologiche della prima ondata della pandemia COVID-19 sulla popolazione generale, così come l’andamento nel tempo di alcuni sintomi psicologici. Inoltre, si sono occupati della valutazione dell’effetto di fattori protettivi, come il possedere buone strategie di coping e il poter contare su un supporto sociale familiare e/o amicale, sui sintomi psicologici connessi alla pandemia. Infine, hanno osservato le conseguenze psicologiche generatesi nel momento della transizione tra il primo lockdown e il post-lockdown, cioè nel momento in cui era di nuovo permesso tornare alle normali attività quotidiane.
Lo studio è stato condotto su un campione reclutato con il metodo a valanga, stabilendo quattro punti temporali di valutazione differenti, comprendenti un arco temporale che andava da Aprile 2020 a Giugno 2020. Ai soggetti sono stati inviati strumenti e questionari self-report per misurare alcuni costrutti e sintomi psicologici come la preoccupazione, l’ansia e la depressione; così come le strategie di coping utilizzate e il supporto sociale percepito. Infine, è stato somministrato un questionario costruito ad hoc per valutare le conseguenze della transizione tra lockdown e post-lockdown.
Dai risultati dello studio è emerso che il 17% dei partecipanti ha ottenuto punteggi superiori al cut-off per i sintomi ansiosi, durante la prima valutazione, con un picco massimo fino al 23% alla seconda e un decremento, non significativo, al 14% all’ultima valutazione. Rispetto ai sintomi depressivi, invece, alla prima valutazione il 23% dei soggetti ha ottenuti punteggi superiori al cut-off, con un decremento di tale percentuale fino al 14% all’ultima valutazione. Tali dati sono simili con le ricerche di Wang et al. (2020b), che ha riscontrato un cambiamento non significativo nel tempo nei livelli di depressione e ansia, quando le osservazioni avvenivano in un tempo ristretto tra l’una e l’altra e durante il periodo di lockdown. I sintomi ansiosi e depressivi, inoltre, erano maggiormente presenti tra le donne, gli studenti e le persone disoccupate. L’associazione tra età, la condizione di studente e l’ansia o la depressione legate alla pandemia, è già stata osservata e si pensa potrebbe essere causata da stress aggiuntivi generati dal bisogno di doversi adattare al nuovo ambiente educativo online. È più controversa invece la letteratura rispetto alle differenze di genere legata al COVID-19; infatti, nonostante alcuni studi abbiano riportato livelli di ansia e depressione più alti nelle donne (Smith et al., 2020), altri autori hanno trovato questa associazione solo rispetto ai livelli di ansia; altri non hanno trovato alcuna associazione, o quella opposta, con livelli di ansia e depressione più alta nei maschi.
Più alti livelli di supporto sociale percepito, invece, hanno un effetto mitigante sui sintomi legati a emozioni negative. Invece, l’utilizzo di strategie di coping, pur aumentando nel tempo, sembrano avere un effetto significativo solo per i sintomi depressivi. Altri studi che hanno avuto a che fare con gli aspetti psicologici legati al Coronavirus hanno ottenuto evidenze simili; Cao et al. (2020) hanno riscontrato un effetto positivo del supporto sociale sull’ansia e ciò sembra essere confermato dalle ricerche di Palgi et al. (2020), che ha identificato la solitudine come uno dei rischi maggiori per lo sviluppo di sintomi di ansia e depressione. Similmente, è stata trovata un’associazione tra coping ed emozioni negative rispetto al Coronavirus; per esempio, Ran et al. (2020) hanno trovato un’associazione inversa tra la resilienza e i sintomi d’ansia o depressione durante il picco della pandemia COVID-19 in Cina.
Dall’analisi del periodo di transizione tra lockdown e post-lockdown, inoltre, sono emerse quattro categorie di “preoccupazioni”: “ritiro sociale”, “paura di confrontarsi con l’esterno”; “paura del contagio” e “timore di sprecare tempo libero”. Inoltre, è stata riscontrata un’associazione tra i sintomi ansiosi e la “paura di confrontarsi con l’esterno” alla terza valutazione; mentre alla quarta anche con la “paura del contagio” e con il “ritiro sociale”. Rispetto ai sintomi depressivi, invece, è stata riscontrata alla terza valutazione una correlazione con la “paura di confrontarsi col mondo esterno”, il “timore di star sprecando tempo libero” e il “ritiro sociale”; mentre all’ultima valutazione erano correlati, oltre a queste tre dimensioni, anche alla “paura del contagio”. Un dato interessante è che, dopo tre settimane dalla prima valutazione, il “ritiro sociale” e “la paura del contagio” si erano ridotti significativamente, mentre “la paura del confronto con l’esterno” e “il timore di sprecare tempo libero” no. La ricerca che si avvicina maggiormente a queste evidenze è quella di Cava et al. (2005) dopo l’epidemia della SARS, dove le persone, per paura di essere infettate, hanno riportato il bisogno di rimanere in quarantena anche quando i regolamenti del governo permettevano di uscire, o il bisogno di mantenere la distanza tra loro e dalle persone, di lavarsi spesso, e di indossare indumenti protettivi anche quando il pericolo era finito.
In generale, i risultati di questo studio suggeriscono che l’esperienza dovuta all’ondata di COVID-19 ha incrementato il disagio psicologico di molte persone, rimanendo relativamente stabile anche dopo che era finito il periodo del lockdown. L‘ansia può rappresentare la risposta normale e iniziale a un evento stressante significativo, ma quando la normale vita inizia ad essere percepita come sempre più remota e difficile, allora i sentimenti di depressione, di solitudine e disperazione possono pronunciarsi, specialmente tra le persone più vulnerabili della società. Inoltre, i risultati dello studio confermano quelli di ricerche precedenti (Ozamiz-Etxebarria, Dosil-Santamaria, Picaza-Gorrochategui, & Idoiaga-Mondragon, 2020; Wang et al., 2020a; Wang et al., 2020b; Qiu et al., 2020; Serafini et al., 2020; Liu, Zhang, Wong, Hyun & Hahm, 2020).
A tal proposito, dunque, potrebbe essere utile pensare di incentivare ricerche che siano in grado di informare rispetto ai servizi di salute mentale, specialmente in ambito pubblico. Gli interventi psicologici impiegati per far fronte alle conseguenze del COVID-19 possono essere considerati interventi sulla crisi, in cui gli obiettivi principali sono quelli di ridurre i sentimenti ansiosi, di impotenza, di disperazione e depressivi. In questo senso, la possibilità di avere una tempestiva presa in carico dei pazienti potrebbe permettere di lavorare preventivamente sullo sviluppo di disordini psicologici più gravi, diminuendo i costi sia temporali che economici degli interventi sanitari. In ogni caso, sarebbe utile produrre studi longitudinali su questo tema, al fine di avere maggiori evidenze empiriche. Sarebbe interessante, inoltre, esplorare gli aspetti psicologici connessi allo stigma di essere stati infettati o di aver avuto una persona vicina infettata, che si crede possa avere effetti importanti sulla salute mentale delle persone.
Nonostante la rilevanza di questi dati sulla salute pubblica, questo studio ha alcune limitazioni. In primo luogo, lo studio è stato condotto con un campione relativamente piccolo e con un livello di mortalità elevato tra i quattro punti temporali. Inoltre, è trascorso un periodo di tempo relativamente breve tra le quattro valutazioni. I risultati inoltre possono aver risentito del questionario online auto-somministrato e del campionamento non rigorosamente randomizzato, incidendo quindi sulla rappresentatività e sull’attendibilità. Ancora, il terzo obiettivo dello studio era basato su un set di domande ad-hoc, che, pertanto, non erano standardizzate e per le quali non vi erano punteggi normativi, rendendo il confronto impossibile.
Per concludere, la pandemia del Coronavirus e le sue conseguenze socio-economiche stanno avendo un grande impatto sul benessere psicologico degli Italiani. E’ ragionevole immaginare che ciò potrebbe incrementare il numero di richieste d’aiuto ai servizi di salute mentale nel futuro prossimo. I risultati degli studi come questo evidenziano l’importanza di investire in ulteriori ricerche per favorire supporto psicologico di prevenzione per la popolazione generale. Questo può evitare o ridurre l’aggravamento delle difficoltà, che potrebbero condurre successivamente al bisogno di interventi più lunghi e costosi.

Bibliografia di psicologia di cure primarie

  • Gullo, S., Misici, I., Teti, A., Liuzzi, M., Chiara, E. (2020). Going through the lockdown: a longitudinal study on the psychological consequences of the coronavirus pandemic. Research in Psychotherapy: Psychopathology, Process and Outcome, vol. 23, pag. 211-221.

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